“La Favola del figlio cambiato” al Centro Zo nella visione del regista Guido Turrisi e degli Stravaganti

La favola

Nelle foto alcuni momenti della rappresentazione teatrale

Scritta tra l’estate del 1930 e quella del 1932, La favola del figlio cambiato è una composizione favolistica di Luigi Pirandello, ripresa dalla novella Il figlio cambiato, scritta dallo stesso autore nel 1902.
Originariamente in tre atti e cinque quadri, è stata portata sul palcoscenico del Centro Zō di Catania dalla compagnia “Gli Stravaganti”, per la regia di Guido Turrisi, in atto unico.
Ricordi d’infanzia che si fondono con la sua grande umanità, con la fantasia, con il mito e la tradizione, senza peraltro abbandonare l’alta e importante concezione della maternità, portano Pirandello a scrivere La favola del figlio cambiato quale preparazione ai Giganti della Montagna, supportando il lavoro con le musiche di Gian Francesco Malipiero. È la storia di una madre alla quale viene sostituito dalle streghe il proprio figlio, bello e sano, con un altro deforme e cagionevole di salute. Consigliata da alcune amiche, la donna viene condotta da Vanna Scoma, la fattucchiera che le confesserà di aver visto il figlio e di sapere che egli vive in un palazzo reale dove potrà vivere serenamente tra agi e lusso, purché al piccolo deforme “cambiato” non manchino le cure e l’affetto della nuova madre la quale, soprattutto, dovrà rinunciare a cercare il vero figlio.

LA FAVOLA 1 (2)Dopo qualche anno accade che, in un caffè del villaggio, alcuni avventori chiacchierano sull’arrivo di un principe, infelice e malato nell’anima, che spera di guarire grazie a quel viaggio. Mentre gli avventori commentano la notizia, entra un giovane deforme, conosciuto come “Figlio di re”, che altri non è che quel bambino lasciato in cambio dalle streghe. Il giovane, tra l’ilarità dei presenti, dichiara di essere l’erede del re. La madre, di contro, nel frattempo riconosce nel principe il vero figlio. Questi, stanco della vita di corte e nonostante i ministri lo invitino a ritornare a Palazzo per accudire al padre gravemente malato e calmare gli animi del popolo, comprende che il suo posto è accanto a quella donna che lo crede suo figlio e grazie alla quale, pur rimanendo povero, riacquisterà la salute e sarà felice.
«Nella mia messa in scena – dice Guido Turrisi -, ho fatto il contrario di quanto scritto da Pirandello. In realtà La favola del figlio cambiato è un libretto d’opera per la musica di Malipiero e lui mette dei brani tratti da questo lavoro, dentro I Giganti della Montagna, la sua ultima opera. Io, al contrario, ho preso brani tratti da I Giganti della Montagna, tutti monologhi di Cotrone, e li ho messi dentro la favola per farne anche il prologo e l’epilogo. In pratica, la “compagnia della Contessa” rappresenta questa favola e, alla fine, viene travolta da esseri molto più grandi di quegli attori, i Giganti appunto. Alla fine della rappresentazione compare la frase “…la tragedia della Poesia nella brutale società moderna!”, scritta da Pirandello a Marta Abba, che indica inequivocabilmente la tragedia cui ci si riferisce nella frase stessa, ma anche il trionfo della fantasia costituito da questi “Giganti della montagna”».
In coda allo spettacolo c’è stata anche la proiezione di ritagli di giornali contenenti articoli su fatti di cronaca recentemente accaduti e che riguardano il teatro siciliano…
«È un messaggio rivolto a quei signori che hanno inquisito 72 compagnie. Per me sono proprio questi i “Giganti”, quelli contro cui Pirandello fa combattere la “compagnia della Contessa” sul finale del suo I Giganti della montagna; cose insormontabili a cui nessuno di noi è abituato. Questo credo, invece, che sia il pretesto per togliere il contributo regionale a tutte le compagnie piccole. In questo modo, molti avremo grossi problemi perché non ci si potrà prendere la responsabilità di fare una rassegna teatrale senza una base. Ciò significherà, dunque, meno lavoro per i registi, per le produzioni, ma anche per gli attori. Questo pensiero è stato espresso anche con il funerale inscenato alla fine dello spettacolo e la deposizione di costumi fatta da ciascuno degli attori». Ottime le interpretazioni di Francesca Ferro, Amelia Martelli, Cindy Cardillo, Laura Giordani, Pippo Tomaselli, Antonio Starrantino, Giovanni Strano e Antonio Caruso che hanno saputo dare la giusta intensità ed espressione a ciascun personaggio, dimostrando una notevole abilità anche nel vestire i diversi ruoli.
Perfettamente descrittivi i costumi di Rosy Bellomia; essenziale e d’effetto l’allestimento scenico di Piero Lo Monaco e Mario Platania, accompagnato dall’esperto lavoro di luci di Aldo Ciulla.
Vittorio Costa

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