Una pesante coltre di conformismo aleggia sul Bel Paese. E vien da chiedersi, ma l’Italia dove va?

Le elezioni politiche de 1953

Le elezioni politiche del 1953 in un’immagine da la Domenica del Corriere

In mancanza di meglio, molti italiani si sono affidati a Renzi, nella sempre ricorrente speranza del salvatore che arriva a rimettere a posto le cose. Difatti, l’allora sindaco di Firenze si è presentato agli italiani proprio in questi termini, avendo dalla sua le carte giuste per poter ricoprire questo ruolo: l’età, il fatto di non essere assimilabile alla nomenclatura politica (e neanche a quella interna del suo partito), la carriera politica fatta a Firenze e non a Roma, l’aver recitato la parte del “rottamatore” (musica per gli orecchi di chi coglie la degenerazione del nostro sistema in termini episodici e senza chiedersi se ciò non dipenda, oltre che da non eccelse virtù dei singoli, da un sistema politico che ha perso per strada i caratteri di una democrazia); e, non ultima questione, l’aver rafforzato questa immagine con la proposta, concordata con Berlusconi, di riforme distruttive del concetto di democrazia rappresentativa: anche questa, musica per le orecchie di chi considera le procedure, le autonomie, le conflittualità di una democrazia come cose inutilmente faticose e complicate.

Sul Paese si sta stendendo una pesante coltre di conformismo, di messianica attesa nei confronti di riforme, un filone delle quali finirà col dare forma compiuta ed istituzionale al processo di sgretolamento della nostra democrazia in atto oramai da anni; di questo processo, EXPO, MOSE, i casi Scajola e Genovese sono ovvie e quasi necessarie conseguenze, nella separatezza delle funzioni pubbliche dalle possibili interferenze dei controlli politici e dell’opinione pubblica. E una democrazia che deve affidarsi alla magistratura di garanzia costituzionale per veder ripristinare i principii costituzionali di fronte a leggi che li violano apertamente, come il Porcellum, la legge sulle tossicodipendenze, la legge 40; alle Procure per contenere le malversazioni; o ancora alla magistratura contabile per sanzionare casi di mala-amministrazione e sprechi, è una democrazia gravemente malata.

Tra le politiche (per ora in gran parte solo annunciate) che gli italiani attendono come un miracolo del quale non è lecito dubitare, vi sono poi quelle dedicate ad affrontare le condizioni economiche e sociali del Paese. A ben vedere, è su questo punto che, in gran parte dei cittadini di questo strano Paese, e con una buona dose di disperazione, è maturata la scelta di concedere a Renzi quel credito in bianco che egli ha richiesto, nel quale è compresa la disponibilità a sacrificare una non piccola dose di democrazia.

Ed è su questo punto che si realizza, sotto la generica dizione di “riforme”, il collegamento tra un’esplicita involuzione del sistema politico-istituzionale del Paese e politiche indirizzate a rimetterne in movimento l’economia; politiche che però rischiano di restare inefficaci, in quanto prive di una solida concezione riformatrice e limitate dai picchetti posti dalla destra, fatti propri da una parte della sua maggioranza, e subiti passivamente dalla restante parte della stessa.

Si sviluppa così una cultura politica che produce indirizzi di politica istituzionale che sono in piena continuità, rappresentandone la razionalizzazione e la formalizzazione, con quelli seguiti nel corso del ventennio berlusconiano. E che produce indirizzi di politica economica e sociale che, se confermano l’abbandono della finanza allegra dell’età berlusconiana, già avviato da Monti e da Letta, non  appaiono né tali da assicurare il risanamento finanziario, né tali da rimettere in movimento l’economia e la società italiane.

È su queste impostazioni, che tendono a rendere permanente l’egemonia politica del nuovo centrismo e della sua area di riferimento nella società e nell’economia, sul nuovismo di immagine, su un ottimismo obbligato e conformista, su qualche concessione di stampo populista, che Renzi, svuotando il centro, e nella sostanziale latitanza di una sinistra capace di rappresentare un’alternativa, o almeno di condurre un’opposizione credibile, ha saputo raccogliere attorno a sé un grande consenso.
Gim Cassano

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