Libertà di stampa: da Reporter senza frontiere l’Italia al 79° posto dopo il Malawi

libera stampa libertàQualsiasi discorso sulla libertà di stampa in Italia non può prescindere dalla classifica che stila ogni anno Reporter Senza Frontiere. Il nostro paese nel 2014 si è piazzato al 79° posto, perfino dopo Mongolia, Burkina Faso, Niger, Senegal e Malawi; in Europa stanno peggio dell’Italia solo Russia, Bielorussia, Ucraina e Turchia.
Troppe ingiustificate querele per diffamazione ma anche troppe minacce ed intimidazioni. Non solo le aziende, i politici o i singoli individui sporgono querela ai giornalisti ed ai giornali: la querela è anche uno degli strumenti che la criminalità organizzata utilizza per zittire o ammorbidire i giornalisti. Così la querela per diffamazione, da strumento processuale nato per tutelare il buon nome dei cittadini onesti, finisce per trasformarsi in congegno atto ad offendere la libertà di stampa.
Quella delle troppe e immotivate querele non è però l’unica anomalia della stampa italiana. Il mondo anglosassone, spesso indicato come esempio di buon giornalista, presenta un quadro molto differente. Bob Woodward e Carl Bernstein in Italia non sarebbero stati in grado di condurre un’inchiesta (lo scandalo Watergate) talmente devastante da costringere il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon a dimettersi.

Qualcuno potrebbe contestare: ma Giovanni Leone fu anche lui costretto alle dimissioni da una giornalista: Camilla Cederna. Le differenze tra i due casi sono molte: innanzitutto le accuse non furono pubblicate dai giornali, bensì in un libro dal titolo “Giovanni Leone: la carriera di un Presidente”; le dimissioni di Leone più che dalle rivelazioni fu causata da una delle tante “congiure di palazzo” della vecchia Democrazia Cristiana. I figli di Leone sporsero querela di diffamazione per i fatti loro ascritti: la Cederna perse in tutti e tre gradi di giudizio: fu condannata per diffamazione e fu comminata a lei e al suo giornale, L’espresso, una multa salata. Il Tribunale ordino la distruzione del libro.

In Italia si è ben lontani dalla mentalità collettiva del mondo anglosassone come testimoniano i film “Tutti gli uomini del presidente” e soprattutto “L’ultima minaccia” con la scena finale e il direttore del giornale Ed Hutcheson (interpretato da un magnifico Humphrey Bogart) che pronuncia la fatidica frase: «È la stampa, bellezza! La stampa! E tu non puoi farci niente! Niente!». A dirlo una volta in Italia, con il medesimo senso di onestà.
La stampa italiana è stata sempre diversa. Senza volere tracciarne una tediosa storia nei primi anni dell’unità i quotidiani era “liberali e moderati”, nel periodo fascista proni all’Agenzia Stefani e ossequiosi delle veline di regime. Vero è che c’era la stampa socialista, comunista e anarchica ma quella, per usare un termine che possa rendere l’idea, si poneva in una posizione alternativa se non addirittura marginale. Questa situazione non toglie che singoli cronisti abbiano avuto il coraggio di andare fino in fondo nelle loro inchieste o nella libera espressione delle loro idee. Questo è accaduto, però, nel periodo circoscritto al terrorismo e alla lotta alla mafia. Mi vengono in mente i nomi di Carlo Casalegno e di Walter Tobagi, di Peppino Impastato e di Mario Francese. E solo per la caparbia, la professionalità e forse l’eroismo dei singoli. Anche le nostre “penne più aguzze” e importanti avevano e hanno sempre un qualcosa di fortemente istituzionale. Una commistione se non una complementarietà con il mondo della politica poco comune negli altri stati. Non è un caso che attualmente alla Camera e al Senato siedano rispettivamente 39 e 26 tra professionisti e pubblicisti.
Questo è il quadro in cui ci si muove. Una stampa che sa come comportarsi in maniera politically correct. Con un pizzico di amarezza si può concludere che lavorare con correttezza, professionalità, deontologia non serve a nulla perché: primo, meno giornalisti ci sono in giro e meno cose si sanno; secondo, meglio pochi e magari fidati o meglio ascari. Purtroppo la Sicilia si distingue in questo quadro assolutamente negativo. La democrazia passa dal trasparenza e dalla comunicazione ma questo sembra non importare proprio a nessuno. Anzi, per molti, è preferibile che avvenga il contrario.
Simplicissumus

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