“Il ritorno a casa”, la giungla della famiglia tra psicologia e violenza al Teatro Verga di Catania

Il ritorno a casa andato in scena al teatro Verga

Il ritorno a casa andato in scena al teatro Verga

“Il ritorno a casa”, dramma, caustico e feroce, del geniale drammaturgo inglese Harold Pinter, premio Nobel per la Letteratura nel 2005, andato in scena la settimana scorsa al Teatro Verga, si pone e pone una serie di interrogativi su cosa sia in realtà la famiglia. Lo spettacolo è stato proposto nella versione del regista tedesco Peter Stein, maestro del panorama teatrale europeo, che sceglie il suo cast di qualità da un altro suo capolavoro, “I Demoni”, maratona scenica durata dodici ore. Si tratta di Paolo Graziosi, Alessandro Averone, Elia Schilton, Antonio Tintis e Andrea Nicolini, a cui si è aggiunta l’unica donna, Arianna Scommegna. La traduzione è stata a cura di Alessandra Serra. La scenografia firmata da Ferdinand Woegerbauer, i costumi da Anna Maria Heinreich, le luci da Roberto Innocenti.

Fattore scatenante di tanta aggressività compulsiva è stato il ritorno a casa, dopo anni di lontananza, di Teddy, un figlio diventato docente universitario in Usa, portando con sé la moglie Ruth, unico elemento femminile in un universo di soli uomini, formato dal padre e dei fratelli di lui. L’arrivo suscita effetti sconvolgenti e per certi versi inaspettati: accolta come elemento estraneo verso cui sfogare la propria misoginia, Ruth viene accettata e inserita in un gioco al massacro in cui appare allo stesso tempo come vittima e carnefice: è il marito Teddy ad andarsene da solo. L’immagine finale mostra la donna imponente, con gli uomini frignanti e anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello che può accadere. Ma, come sempre nei finali di Pinter, tutto rimane possibile…

Scritto nel 1964, “Il ritorno a casa” è uno dei primi testi della maturità artistica dell’autore inglese, che aveva già creato capolavori del teatro dell’assurdo. Praticamente quasi un traguardo per Peter Stein che racconta: «Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena “Il ritorno a casa”. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili si tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale. Tutte le ossessioni maschili in questa famiglia di serpenti si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento, viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del previsto. La famiglia comporta logiche sulle quali non si discute, non si può discutere, perché i rapporti contemplano aspetti naturali ma quasi “animaleschi”…»

Pinter, tra i più complessi e originali scrittori teatrali della sua generazione, nelle sue opere ricerca situazioni psicologiche che hanno come temi la coesistenza nella medesima persona di violenza e sensibilità, o il mistero dell’animo femminile. Sono lavori in cui l’intreccio è talvolta quasi assente e lo svolgimento è affidato al dialogo, con cui egli sa creare intense atmosfere. “Nelle sue commedie scopre il baratro che sta sotto i discorsi di tutti i giorni e spinge a entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione” è, infatti, e non a caso, la motivazione con cui gli venne assegnato dall’Accademia di Svezia il premio più ambito.

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