Due persone, una porta e il silenzio… “Il compleanno” assurdo di Pinter firmato da Fulvio D’Angelo

Fulvio D'AngeloIl Teatro Stabile ha aperto il suo palcoscenico al genio caustico di Harold Pinter, premio Nobel per la Letteratura nel 2005, scegliendo di produrre un nuovo allestimento della commedia, affidato alla regia di Fulvio D’Angelo, che ha calcato il palcoscenico anche nelle vesti di interprete. Nel lungo viaggio verso l’assurdo pinteriano lo hanno accompagnato altri beniamini del pubblico non solo catanese, come Liborio Natali, Alessandra Costanzo, Leonardo Marino, Ramona Polizzi e Giampaolo Romania. Continua così la rassegna innovativa “L’isola del teatro”, riservata alla sala Musco dove l’esaltante pièce, proposta nella traduzione di Alessandra Serra e arricchita dalle scene e dai costumi di Giovanna Giorgianni, è andata in scena dal 5 al 10 maggio.

Una scena, due persone, una porta, il silenzio e il non detto: sembra un tranquillo interno borghese. Di lì a poco un delirio senza senso, fatto di paure e violenze. Eppure si ride anche. Ma l’Harold Pinter degli esordi suscita già una risata inquieta e nervosa che amplifica un disagio interiore. Scritto nel 1957, “The Birthday Party – Il compleanno” è infatti il primo capolavoro del drammaturgo inglese, e contiene in sé già tutti gli elementi che diventeranno caratteristici della sua “poetica dell’assurdo”, improntata sulla ricerca della contraddizione del quotidiano e sull’atavica dicotomia tra l’apparenza e la sostanza.

Al centro della storia inquietante c’è la figura di Stanley Webber, il personaggio pinteriano per eccellenza, simbolo e icona di un’umanità perseguitata e auto-reclusa. Stanley, pianista fallito dai turbolenti trascorsi, ha sospeso la sua vita in una pensione vicina al mare gestita dai coniugi Petey e Meg Boles. La ripetitività dei gesti e dei dialoghi quotidiani, nei quali saltuariamente si inserisce anche la giovane Lulu, sarà interrotta dall’arrivo di due nuovi, inquietanti ospiti, Goldberg e McCann, incaricati di una misteriosa missione, di cui però Pinter non chiarisce il significato – come del resto continuerà a fare nelle opere della maturità – limitandosi a suggerire, a comunicare suggestioni, paure, timori ancestrali, emozioni prive di una vera ragione d’essere, ma talmente reali da lasciare il pubblico senza fiato.

Una lettura difficile e folgorante, insomma, come ammette lo stesso regista: «I miei compagni di viaggio ed io, attraversando “Il compleanno”, siamo rimasti affascinati dal plot della commedia, nel suo esplicarsi, raccontarsi e spiegarsi, che rinvia e si rinvia a “piani secondi”, piani “altri”, altre interpretazioni. Questa commedia rappresenta e simboleggia molto altro. Senso e sovrasenso. Ed è un perfetto equilibrio tra reale e metaforico. Meg, Petey, Lulu, la loro vita serena, tran–tran, routine: come un dardo infuocato, attraversati da questo “compleanno”».

Il testo contiene ed anticipa tutti gli elementi che diventeranno caratteristici della poetica dell’autore: un luogo chiuso, apparentemente tranquillo, che viene improvvisamente disturbato da influssi esterni, minacce oscure che contaminano la quiete quotidiana, un passato opprimente e soffocante che torna a incidere sulla vita dei protagonisti.

«Una stanza: tutto parte da lì – afferma, infatti, D’Angelo – come in quasi tutte le sue pièces, e in quella stanza fa irruzione, o tranquillamente entra, prima un personaggio e poi un altro, e irrompe il “quotidiano”. E che “quotidiano”. Quello di tutti i giorni, i giorni della vita, sì, proprio quelli nostri, quando magari un nostro lontano cugino è arrivato dalla provincia e invade improvvisamente la nostra quotidianità… ».

L’attenzione – o forse l’ossessione – di Pinter è rivolta a quegli aspetti della personalità umana e a quei comportamenti che fanno parte della vita di tutti i giorni, con l’intento di indagare “le stanze chiuse dell’oppressione” e il grande baratro che si nasconde sotto le parole e le banali “chiacchiere” del linguaggio quotidiano.

Come ancora sottolinea il regista «Tutti noi “siamo” Stanley. Ma il più delle volte tendiamo ad essere Goldberg. Con noi stessi, coi nostri figli… Il Male ci trasforma, ci integra… si profila alla porta. Ma dobbiamo stare attenti, poiché potremmo trasformarci noi in Male. Freniamo la nostra voglia di “cupo” benessere, di cani dietro i cancelli, per non rinunciare alla nostra identità».

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