Vespasianibus | Pecunia non olet, la pipì invece sì

pecunia-non-oletAndando a rileggere il “De antiquissima italorum sapientia” di Giovan Battista Vico, ci si imbatte anche nella teoria dei corsi e ricorsi storici.
Teoria elaborata retrospettivamente ma, post mortem, puntualmente riscontrata negli accadimenti degli ultimi trecento anni.
Su uno di questi ricorsi, quanto mai sgradevole, maleodorante e prodromo di ulteriori malanni, come se non bastasse il Covid, mi voglio soffermare.
Nell’antica Roma vi era la disgustosa abitudine, tanto per gli uomini quanti per le donne del popolo, di dare sfogo ai propri bisogni corporali sulle pubbliche vie dell’Urbe.
Con il continuo aumento della popolazione il problema si fece talmente serio e grave, anche per le implicazioni di ordine sanitario connesse, da meritare l’interessamento e l’intervento dell’Imperatore.
Nacquero così i gabinetti pubblici che vennero chiamati, e così fino ad oggi, col nome dell’imperatore Vespasianus.
A lui è anche attribuita la famosa frase “pecunia non olet”, non perché ai cittadini romani venisse richiesto il ticket per usare il bagno, ma perché l’urina raccolta veniva venduta alle concerie e produceva entrate per l’erario, e della “provenienza di quei sesterzi” non si percepiva la puzza.
Tutto ciò premesso nella nostra città e relative pubbliche strutture, cimitero compreso, i pur esistenti gabinetti pubblici, in superficie ed ipogei, sono in totale stato di abbandono, o addirittura chiusi per mancanza di custodia e manutenzione, senza che alcuna solerte Autorità sanitaria si sia posto il problema.
Il risultato è che le vie cittadine sembrano quelle dell’antica Roma, non tanto e non solo per le deiezioni canine, ma anche per quelle umane, anche perché i gabinetti dei bar, refugium peccatorum per tanti, specie anziani, sono inutilizzabili causa Covid.
In pratica la teoria del Vico sui corsi e ricorsi storici, trova puntuale, ancorché disgustosa e preoccupante conferma.
Le urine infatti sono veicolo di letali virus e batteri, di cui non avvertiamo certo il bisogno, visto che, per dirla con i Cinesi, siamo non nell’anno del Dragone, ma nel biennio del topo, del pipistrello e del Covid.
Mi piacerebbe tanto che, proseguendo nei ricorsi storici, i vespasiani venissero riaperti, ovviando al problema dei costi (la pecunia), utilizzando i tanti precettori di sussidi che, fra l’altro darebbero dignità alla pecunia di cui sono mensilmente e puntualmente destinatari, magari con la supervisione ed il tutoraggio di quanti dovrebbero avviarli al lavoro.
Senza che ciò leda alcuna dignità, se è vero, come è vero che “pecunia non olet”.
Alfio Franco Vinci

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