Non è certo una passeggiata tradurre in un monologo teatrale l’affollata trama di un romanzo che pullula di vite, storie e personaggi come “Ho servito il re d’Inghilterra” di Bohumil Hrabal, scrittore ceco di culto della letteratura del Novecento. Eppure l’impresa di Giovanna Mori, Francesco di Branco e Jacob Olesen va felicemente in porto con “Il mio nome è Bohumil”, trasposizione teatrale dell’opera, andata in scena al Piccolo Teatro di Catania.
Jacob Olesen sul palco è da solo, con effetti scenici ridotti all’osso, semplicemente una valigia e un cappotto. Sembra tuttavia non aver bisogno d’altro, perché ha dalla sua l’arma vincente che basta a compensare il minimalismo scenico: una sconfinata verve unita a una presenza forte e granitica che inchiodano fin dal primo istante lo spettatore alla scena proiettandolo immediatamente nel vivo della storia. Siamo in una Cecoslovacchia anni ’30, prima libera poi attraversata dagli spettri di nazismo, guerra, comunismo. Protagonista è il giovane Bohumil, giunto a Praga nell’ottobre 1936, all’Hotel Paris, per cominciare un lavoro da apprendista cameriere. È l’inizio di una mirabolante avventura esistenziale fatta di sogni e ambizioni – principalmente fare tanti soldi e tanto sesso – che condurrà il giovane Bohumil a imbattersi in storie di miserie e virtù quotidiane attraverso quella varia umanità, complessa e contraddittoria, che quotidianamente gli capiterà di incrociare.
Olesen eccelle in scena nella sua capacità di riempire immaginificamente il palco di questa moltitudine di personalità che affollano la vita del protagonista, narrando, impersonando, inscenando sequenze di botta e risposta, coadiuvato da una capacità mimica eccezionale che gli permette di materializzare con pochi gesti i personaggi più disparati. Soprattutto eccelle nella capacità di tratteggiare a meraviglia quel Bohumil nel suo candore, inconsapevole del destino di un’umanità che sembra prossima al tracollo, semplicemente affamato di vita, sempre, nella fortuna e nella malasorte.