Secondo la Rea (Radio Televisioni Europee Associate), l’associazione che riunisce la maggior parte delle televisioni private italiane, la causa principale della crisi dell’emittenza locale è dovuta alla discriminante assegnazione delle frequenze televisive del digitale terrestre che non ha tenuto conto delle direttive europee e delle disposizioni di legge italiane ad opera dei Governi precedenti e dell’Autorità delle Garanzie nelle Comunicazioni. Le violazioni commesse hanno provocato ingenti danni economici alle imprese televisive valutate in 700 milioni di euro conseguenti allo stato prefallimentare di 350 emittenti con la perdita di 2800 posti di lavoro. Oltre alle migliaia di posti di lavoro la questione riguarda anche la fondamentale libertà costituzionale sul pluralismo dell’informazione. La Rea precisa che ha più volte chiesto all’Agcom e al Ministero dello Sviluppo Economico (Mise) di convocare un Tavolo di lavoro, ma nessuna risposta è mai stata data. Tuttavia la possibilità di rimediare ai danni commessi è possibile in occasione del nuovo standard televisivo DVB-T2 che consente di comprimere i segnali in modo tale da ottenere, con l’impiego di una sola frequenza, fino a 20 programmi rispetto agli attuali 6 del DVB-T. Secondo la Rea si tratta di una occasione da non perdere per adeguare il Piano di Assegnazione delle Frequenze alle Direttive europee e alla legislazione italiana in modo da creare i presupposti per salvare le aziende, i posti di lavoro, il pluralismo informativo nonché sviluppo e benessere per l’Italia.
«Per realizzare tale opportunità, il Parlamento dovrà necessariamente approvare una nuova legge di riforma del sistema radiotelevisivo che preveda precise norme di attuazione per il Mise e l’Autorità in modo da impedire ulteriori vantaggi in favore della nota lobby del conflitto d’interessi ben inserita nelle istituzioni a tutti i livelli», ha dichiarato il Presidente della Rea Antonio Diomede.
L’altra nota dolente della crisi dell’emittenza locale, sempre secondo la Rea, è quella relativa al sostegno economico, dovuto per legge, all’editoria radiotelevisiva per mantenere in essere il pluralismo informativo. Anche in questo caso si tratta di una misura già prevista dalla legge 422/93, mai attuata, che prevede di assegnare una parte del canone Rai all’emittenza locale. In sostanza si tratterebbe di emettere un decreto attuativo della 422/93 che comprenda anche la soppressione delle agevolazioni alle radio di partito. Con tale decreto attuativo il bilancio dello Stato verrebbe sgravato di ben 150 milioni euro/anno, parte dei quali, valutabili in 35 milioni di euro potrebbero essere ben impiegati, una tantum, per lo sviluppo della Radio digitale.