Nino Romeo interpreta Mastru Staci di Micio Tempio al Teatro del Canovaccio

Nino Romeo

Nino Romeo al Teatro Canovaccio di Catania con Lu mastru Staci

Nino Romeo è riuscito nella difficile impresa di portare ancora una volta sul palcoscenico un’opera di Micio Tempio. Il poeta catanese del ‘700 ammirato e citato in privato, quasi esecrato in pubblico, ha prodotto e scritto cose troppo licenziose per potere trovare spazi nel nostro teatro che è tanto bello quanto bigotto. In scena al Teatro del Canovaccio “In petra” trasfigurazione scenica de “L’imprudenza o Lu mastru Staci”; drammaturgia di scena e regia Nino Romeo, musiche e orchestrazioni di Franco Lazzaro, scene di Gabriele Pizzuto, costumi di Rosy Bellomia, Narratore Nino Romeo, Graziana Maniscalco (Donna Petronilla), Saro Pizzuto (Il Doppio), coro: Rossella Cardaci, Pietro Cocuzza, Anna Di Mauro, Elose Pisasale, Scalpellini/Musicisti: Sara Castrogiovanni, Gabriele Cutispoto, Alfonso Lauria, Ennio Nicolosi. Produzione CTS (Centro Teatrale Siciliano) in collaborazione con Teatro del Canovaccio.

La vicenda narra dell’enorme membro di un materassaio, Mastru Staci appunto. Costui viene visto mentre urinava dal notaio Don Codicillo che scorge le dimensioni anormali e ne parla sbalordito alla moglie, la consorte Petronilla, con “con dovizia di particolari e immaginifici paragoni alla Cyrano di Bergerac”. Nella donna nasce una certa insana curiosità. Con una scusa invita a casa Mastru Staci e lo seduce; nel pieno dell’amplesso il corrimano, su cui i due si erano appoggiati, crolla ed entrambi finiscono rovinosamente sulla scrivania del notaio, “cornuto” per avere parlato troppo.

Pur mantenendo la prorompente vis comica e narrativa, oltre che il portato ritmico e immaginifico della versificazione – senza trascurare, peraltro, la carica morale di Tempio che si esprime attraverso l’ironia feroce e il gusto per il grottesco – lo spettacolo rivive il poema come una partitura della memoria: memoria mai univoca ma cangiante, a volte in contraddizione con se stessa: memoria letteraria o frutto di esperienze; traslata attraverso i racconti diretti; memoria che si confronta con l’attuale o che si autorappresenta; frenetica o indolente, vagheggiante o irritata; memoria di immagini e di suoni che il tempo ha costruito e sedimentato; memoria della memoria.

E se il luogo della consistenza di questa memoria plurivoca è Catania, l’allocazione d’obbligo è la parte barocca della città; un barocco tipico, settecentesco per necessità, confinante più col secolo dei lumi che con quello precedente. E di questa tensione verso istanze progressive e rivoluzionarie Domenico Tempio è testimone e cantore.

Così, nello spettacolo, trovano spazio alcuni segni di questa memoria, rivissuti in termini di contemporaneità: il racconto è scandito da giovani musicisti che battono, in accordo o in opposizione ritmica, su bàsole di pietra lavica, screziato e contrappuntato anche da vanniate (le voci di richiamo dei venditori ambulanti) rese da un coro. I suoni concreti orchestrati da Franco Lazzaro, frammisti a schegge musicali di sua composizione, rendono concrete le figure del coro vanniante e degli scalpellini/musicisti, che Nino Romeo fa muovere come ambulanti della memoria nella scena concepita da Gabriele Pizzuto, astrazione di una corte barocca.

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