Il punto sull’economia di Franco Vinci: «Abbandonare la finanza creativa? Era ora!»

tabella comparativa del Pil nel decennio (fonte Cgil)L’economia italiana è forte, ora “meno deficit e più investimenti”. Queste le parole del ministro Tria riportate nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera. Per chi come me, convinto Keynesiano da sempre, si è sgolato nell’ultimo decennio perché si abbandonasse la perversa via della finanza creativa per tornare ai sani, anche se datati investimenti pubblici, è giunto il tempo di poter dire “era ora”.
Non più tardi di una decina di giorni fa, durante un evento a contenuti economici, riservato ad avvocati, commercialisti e qualificati imprenditori, in cui ero stato chiamato a fare da moderatore, sostenevo che non bisogna pensare che la “spreadite” sia una malattia cronica ed incurabile; è uno shock – più emotivo che fondato – di breve durata senza danni permanenti sull’economia, se non si ha bisogno di disinvestire nel brevissimo e proprio in quel periodo.
Quello che conta per diagnosticare lo stato di salute dell’economia di un paese sono i fondamentali, e quelli italiani, conferma il ministro sempre nell’intervista al Corsera, sono buoni.
Come sommessamente sostenevo e sostengo, i dati li abbiamo sotto gli occhi, si tratta solo non di saperli, ma di volerli leggere, senza dover per forza arrivare a conclusioni preconfezionate.
Il risparmio privato pari al doppio del debito pubblico;
Il patrimonio immobiliare privato pari al 400% del pil;
La spesa che non supera il 90% degli introiti degli italiani, quindi propensione al risparmio.
Questi sono i nostri fondamentali: i pilastri di fondazione, non a caso si chiamano fondamentali, che reggono il nostro sistema economico come fosse un grande palazzo.
Non tutti i paesi europei hanno questo insieme di valori, e, quindi, come sostiene Siri della lega, ogni tanto superiamolo pure il tabù del 3%; d’altra parte la Francia lo fa da 10 anni e nessuno l’ha invasa con i carri armati.
Pare che anche Visco, il Governatore di Bankitalia, pur con tutte le cautele del caso, stia rivedendo la posizione di iniziale intransigenza rispetto alla cosiddetta “ Flat tax”, che ormai sembra” dual tax”, come mezzo al fine di far ripartire i consumi e di alleggerire il conto fiscale delle imprese.
Al netto delle naturali, doverose ed inevitabili dure critiche delle opposizioni, un vero e proprio “processo alle intenzioni”, che partono dal rifiuto del cambiamento, e questo che stiamo vivendo lo è, quello che non comprendo, e francamente un po’ preoccupa, è la posizione di Confindustria.
Il ministro Di Maio preannuncia azioni di contrasto alla delocalizzazione e aiuti a chi resta a zappare nel proprio orto;
Sarà forse un po’ vintage/protezionistico, ma sicuramente è in buona compagnia, e non da ora, Francia docet. E Confindustria che fa? Ammonisce: “Chi è contro l’industria, è contro l’Italia”.
Viene da chiedersi di che industria e di che ITALIA stiamo parlando?
Forse è il momento di rimettere a posto gli orologi.
Alfio Franco Vinci

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