Italia rimandata a settembre dall’UE. E in un documento ci dice gli obiettivi: istruzione, infrastrutture e meno tasse. Loro lo sanno…

Jose Manuel Barroso presidente uscente dell'Unione europea

Jose Manuel Barroso presidente uscente
dell’Unione europea

Nonostante Matteo Renzi stia più solidamente alla barra del timone dell’Italia, le cose non sembrano andare meglio per la sovranità del nostro Paese.
Mettendo da parte la vicenda dei nostri due marò, giustamente ricordati dalla gente durante la parata delle forze armate dello scorso 2 giugno, che sono ancora detenuti in India senza che nessuno abbia potuto far nulla per riportarli a casa, a livello internazionale non andiamo molto bene.
Innanzitutto la nostra economia è ancora di fatto commissariata dall’Unione Europea. Nei giorni scorsi, infatti, la Commissione Europea ha chiesto all’Italia «ulteriori sforzi» per il Patto di Stabilità.

Come se il presidente uscente, Josè Manuel Barroso, volesse dimostrare al suo successore di avere tentato proprio tutto per mettere sulla giusta via l’Italia.
Per l’esattezza la Commissione ha detto: «Entro la fine del 2014» l’Italia dovrà valutare «gli effetti delle riforme del mercato del lavoro, valutando la necessità di ulteriori interventi». Ed ha aggiunto che bisogna attivare azioni per il lavoro e le privatizzazioni. Concludendo che, come al solito, l’Italia dovrà stilare un crono programma di tutti gli interventi da realizzare entro l’autunno del 2014. I problemi sono il debito pubblico troppo alto e una tassazione eccessiva sul lavoro e sulla produttiva che deve spostare il suo asse su «consumi, beni immobili e ambiente».

«È importante sottolineare che rinviare il raggiungimento degli obiettivi di medio termine – ha aggiunto il commissario Olli Rehn – non pone l’Italia in una buona posizione nei confronti delle regole che ha sottoscritto».
Non una bocciatura, il cui termine non compare nel documento, ma il solito duro richiamo con l’aggiunta che il nostro Paese sarà oggetto di uno stretto monitoraggio per quel che riguarda le riforme, sia per quelle determinate da Governo sia per quelle raccomandate dalla Commissione europea. Alcuni capoversi del documento fanno comprendere come l’Unione non si fidi per nulla della classe politica italiana arrivando a dare indicazioni su questioni meramente tecniche, ecco il testo integrale di due punti tra i più significativi: «È necessario compiere sforzi per migliorare la qualità dell’insegnamento e la dotazione di capitale umano a tutti i livelli di istruzione: primario, secondario e terziario» e «garantire la pronta e piena operatività dell’Autorità di regolazione dei trasporti entro settembre 2014; approvare l’elenco delle infrastrutture strategiche del settore energetico e potenziare la gestione portuale e i collegamenti tra i porti e l’entroterra».

Come dire… visto che non ci arrivate da soli ve lo spieghiamo noi quello che dovete fare. Per non andare lontano, il secondo punto calza a pennello con l’incapacità di collegare l’aeroporto di Catania, con il porto per lo scalo delle grandi navi da crociera, con il porto di Riposto per le barche da diporto, con l’Etna e con i nostri centri di interesse turistico come, solo per fare un esempio, Taormina. In 70 anni non ci siamo riusciti e farlo entro settembre, come chiede l’Europa, sembra una cosa da fantascienza. Ma questo fa capire come siamo considerati a Bruxelles e Berlino.
Il commento del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan è giunto attraverso Twitter: «Commissione UE apprezza riforme italiane. Debito alto, lo sapevamo: acceleriamo riforme e privatizzazioni per ridurlo in modo sostenibile».
Tutto ciò non è di buon auspicio e non sembra prefigurare nulla di buono per gli italiani.

Altra nota dolente è l’acquisizione di una grossa quota dell’Alitalia da parte della società araba, di Abu Dhabi, Etihad Airways, che ha offerto 600 milioni di euro per rilevare dal 40 al 49%. La maggioranza deve rimanere di proprietà italiana altrimenti non sarebbe più una compagnia aerea dell’Unione europea.
Questo comporterebbe, anzi comporterà, lo spostamento della base operativa da Roma ad Abu Dhabi e il licenziamento (o mobilità o cassa integrazione o prepensionamento) di circa 3.000 dipendenti.
Per di più la Etihad non ha per nulla intenzione di caricarsi i 560 milioni di euro di debiti che andrebbero a gravare sugli attuali soci che poi sarebbero gli stessi che continuerebbero a detenere il 51% della proprietà della compagnia aerea.
Una situazione molto triste quella della nostra compagnia di bandiera, frutto di errori madornali compiuti nel recente passato, di molta malafede e di eccessiva incompetenza. Una metafora della situazione generale dell’Italia.
Mat

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