Lunedì è approdata in aula, a Palazzo Madama, la riforma del Senato. Questo vuol dire che gli stessi senatori dovranno approvare o hanno già approvato la loro estinzione. Il voto finale secondo le previsioni dovrebbe avvenire oggi, mercoledì 16 luglio,. Ma ogni percorso istituzionale in Italia è sempre molto complicato, niente di strano quindi che da stasera ci si potrebbe trovare ancora nel campo delle ipotesi e in pieno dibattito anche alla luce degli oltre 7.000 (7.830 scrive il Corriere) emendamenti presentati. Intanto, la riunione al Senato iniziata stamattina non annuncia nulla di buono e le votazioni potrebbero slittare alla prossima settimana. Qualcuno annnuncia lunedì. Allo stato attuale e in attesa che gli emendamenti siano dichiarati ammissibili ecco come cambieranno, o dovrebbero cambiare, le cose.
A Palazzo Madama siederanno 100 senatori in luogo dei 315 di oggi, così ripartiti: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 personalità illustri nominate dal presidente della Repubblica. La durata del mandato di questi ultimi sarà di sette anni e non sarà ripetibile. Andranno quindi a sostituire i senatori a vita e saranno scelti con gli stessi criteri: “Cittadini che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti”.
I senatori non saranno più eletti direttamente dai cittadini; si tratterà invece di una elezione di secondo grado che vedrà approdare in Senato sindaci e consiglieri regionali. Il sistema sarà proporzionale per evitare che chi ha la maggioranza nella regione si accaparri tutti i seggi a disposizione. I consiglieri regionali e i sindaci che verranno eletti al Senato non riceveranno nessuna indennità, il che dovrebbe portare allo Stato un risparmio di oltre mezzo miliardo di euro ogni anno. Resta da capire chi pagherà la viaria e le spese di soggiorno; ma chiunque sia, si tratterà sempre di denaro pubblico.
Palazzo Madama avrà molti meno poteri e verrà superato il bicameralismo: innanzitutto non potrà più votare la fiducia ai governi in carica, mentre la sua funzione principale sarà quella di “funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica”, che poi sarebbero regioni e comuni. Potere di voto vero e proprio invece il Senato lo conserverà solo in riforme costituzionali, leggi costituzionali, leggi elettorali degli enti locali e ratifiche dei trattati internazionali.
Il Senato avrà però la possibilità di esprimere proposte di modifica anche sulle leggi che esulano dalle sue competenze. Potrà esprimere, non dovrà, e sarà costretto a farlo in tempi strettissimi: gli emendamenti vanno consegnati entro 30 giorni, la legge tornerà alla Camera che avrà 20 giorni di tempo per decidere se accogliere o meno i suggerimenti.
Più complessa la situazione per quanto riguarda le leggi che riguardano i poteri delle regioni e degli enti locali, sui quali il Senato conserva maggiori poteri. In questo caso, per respingere le modifiche la Camera dovrà esprimersi con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. Il Senato potrà votare anche la legge di bilancio, le proposte di modifica vanno consegnate entro 15 giorni e comunque l’ultima parola spetta alla Camera.
Chissà se la cosiddetta “riforma Boschi” avrà la forza di superare i dissidenti del Pd, le perplessità di Forza Italia, i dubbi di Lega e Movimento 5 Stelle, tra riforma, immunità e metodo di elezione. Poi, se tutto procede bene, toccherà alla nuova legge elettorale.