Venerdì scorso avevamo pubblicato un articolo (più sotto il link) in cui veniva stilata una sorta di hit delle falcoltà che garantivano un futuro lavorativo in base a uno studio di Almalaurea.
Oggi Almalaurea ci dice che non stila classifiche e che i loro dati sono stati utilizzati erroneamente. Questa la posizione ufficiale del Consorzio Interuniversitario sulla questione che riportiamo integralmente
In riferimento ad alcuni post e articoli usciti in rete in questi giorni che erroneamente utilizzano i dati AlmaLaurea per stilare classifiche tra percorsi e facoltà, la Redazione del Consorzio ci tiene a precisare che queste interpretazioni non sono solo affrettate, ma anche errate: la valutazione dell’utilità di un percorso di studi o di una laurea è una questione alquanto complessa, che quasi mai può esaurirsi con una semplice classifica.
Infatti, l’utilità di una laurea dipende prima di tutto dalle opportunità che essa offre di inserimento occupazionale e di carriera, sia di realizzazione personale. In altre parole, sull’utilità di una laurea incidono sia fattori oggettivi, le competenze richieste dal mercato del lavoro, sia fattori soggettivi, fondamentalmente, cosa ci piace fare. Inoltre, l’istruzione non è finalizzata unicamente alla realizzazione nel mercato del lavoro ma contribuisce al nostro benessere anche in altri ambiti della vita personale.
Un elemento che rende complessa la valutazione dell’utilità di un percorso di studi, sia sul piano dell’inserimento occupazionale che su quello dell’autorealizzazione, è che non ci si può limitare a verificarne gli effetti ad un anno dalla laurea. Il bagaglio di competenze e conoscenze di cui disponiamo ci accompagna lungo tutta la vita. Potrebbe verificarsi che competenze che ci appaiono poco utili nella fase iniziale della vita, successivamente risultino molto utili.
In particolare, per evitare di incorrere in giudizi affrettati sull’utilità, sul piano strettamente occupazionale, dei diversi percorsi di studio e, su queste basi, ricavare classifiche poco significative tra percorsi/facoltà, è opportuno considerare i diversi aspetti che misurano la qualità dell’inserimento occupazionale (retribuzione, tasso di occupazione e di disoccupazione, utilizzo delle competenze), incluso il grado di soddisfazione, e proiettare la verifica almeno sino a cinque anni dalla laurea, cosa che i dati AlmaLaurea consentono di fare. E’ bene tenere presente che esistono anche delle differenze importanti tra i corsi di studi: un conto è analizzare i dati relativi all’inserimento professionale dei laureati a un anno dal conseguimento del titolo, tutt’altro prendere in esame la condizione occupazionale dei laureati delle Facoltà di Medicina e Chirurgia o Giurisprudenza che a un anno dalla laurea proseguono ancora con la formazione post laurea.
L’unità di osservazione più significativa non sono le facoltà o i dipartimenti ma i singoli corsi di laurea (o tutt’al più i gruppi disciplinari).
Ancora più complessa è la questione della valutazione della performance degli atenei sulla base della performance occupazionale dei laureati perché questa dipende, oltre che dalla qualità dei servizi offerti dalle singole istituzioni, anche da diversi fattori che non sono sotto controllo degli atenei: dalla famiglia di origine, dalle performance di studio dei propri studenti, dalla qualità delle esperienze di lavoro compiute durante gli studi e agli stage compiuti all’estero, dal dinamismo e dalla capacità di assorbimento del mercato del lavoro locale, dalle aspirazioni lavorative dei laureati. Senza tenere in debita considerazione tutti questi elementi, contemporaneamente, qualunque valutazione e graduatoria rischia di essere, oltre che distorta, irrilevante o addirittura dannosa.