Almaquae, al Castello Ursino gorgoglii e spine di cactus per una musica inaspettata

Almacque cactus

Almacque cactus

“Almaquae”, ovvero l’esibizione che non ti aspetti nella rassegna “Classica e dintorni”, che ha ospitato le composizioni di Giuseppe Rapisarda, insegnante di musica elettronica al conservatorio di Palermo.
“I confini tra classica e altro sono abbattuti – ci dice Rapisarda – un errore del Novecento è stato usare altri linguaggi, non sempre congruenti, come, per esempio, la dodecafonia”. La cultura ha dei codici e la musica pure, tutto sta nel codificare nella comunicazione il codice tra mittente e ricevente”.
Sembrano concetti “difficili”, invece sabato 25 ottobre questo profondo studio su “cosa sia suono” è stato proposto concretamente durante il concerto eseguito da Gaetano Costa (sax), Francesco Toro (violino), Elena Sciaramelli (violoncello), Ketty Teriaca (pianoforte) e il duo Biogroove, Antonino Errera e Vito Amato (percussioni).
Un gruppo eterogeneo, che ha avuto come fil rouge le composizioni del maestro Rapisarda che traduce in musica le emozioni che altri gli trasmettono. E le sue composizioni non sono solo “sue”, scrive per le colleghe del conservatorio, Sciaramelli e Teriaca, e per altri musicisti che sono anche amici. Eppure le composizioni di Rapisarda non sono solo il frutto dell’affetto, ma da un progetto musicale complesso e quasi filosofico che potrebbe avere come motto “qualsiasi manifestazione sonora può diventare musica”.

E poi inizia il concerto e il primo brano sorprende il pubblico: è una “musica di cortesia” o è davvero iniziato il concerto? Si invita al silenzio. E quello che sembrava una sorta di gorgoglio diventa vera e propria espressione musicale fatta di suoni “acquosi”, un’insieme di fluidi che si susseguono in un continuo mutarsi: è “Almaquae”, che esplode nel suo splendore dando il titolo al concerto.
Segue  “Gocce di tempo”, pezzo per sassofono ed elettronica, così come il quarto (Cime, in prima assoluta) e il sesto (Canone riverso), l’elettronica crea una mistura tra il soffiato del sax e le sue note, una sperimentazione che nel brano “Cime” diventa un dialogo tra elettronica e lo strumento a fiato da far pensare a un jazz rivisitato. In “Canone riverso” l’elettronica sembra essere la voce della coscienza del sax. Questi brani sono stati, per il pubblico, i più difficili da recepire, ma nessuno si è mosso. Neanche i ragazzi e i bambini.

Il duo Teriaca Sciaramelli ha offerto “Keliones”, un “viaggio” tra suoni ed evocazioni musicali che spaziano dalle rivisitazioni di Lizt al tardo Novecento, dando protagonismo alle sensazioni emotive della manifestazione musicale.
Pianoforte (Ketty Teriaca) che duetta con il violino di Francesco Toro in “Quasi tango”, molto coinvolgente nel rapporto a due tra gli strumenti, una freschezza, che non lascia il posto al déjà vu.
Violino, pianoforte e violoncello si esibiscono insieme in “Trio dei ghiacci” in un dialogo, che sembra spingere alla melodia, ma che poi va oltre, senza cadere nel tranello del refrain, cifra questa propria di Giuseppe Rapisarda.
Il duo Biogroove si è esibito in tre esibizioni: in “Quattro” spiazzano il pubblico facendo suonare le spine di un cactus e conducono gli ascoltatori in un mondo di percezione sonora quasi sconosciuto, in “Watermusic” riescono a fare suonare l’acqua ora “battendola”, ora accarezzandola, ora suonando strumenti immersi nel liquido, un gioco primordiale da bambino nel sacco amniotico di una conoscenza del suono che il mondo contemporaneo rischia di perdere.

Il concerto vede la sua conclusione con “Tema e tradizioni” grazie al pianoforte, suonato da Rapisarda, e alle percussioni dei Biogroove che ondeggiano tra note cupe e altezze impalpabili, un susseguirsi emozionale, nel solco di una continuità nella ricerca, un passaggio fondamentale che in “Classica e dintorni” è possibile apprezzare.
Antonio Luca Cuddè

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