Artigianato: perse 91 mila imprese in 5 anni. Sarà il momento di fare qualcosa?

ArtigianiSono a rischio di estinzione gli artigiani che lavorano il vetro artistico, i calzolai, i lavoratori del cuoio, delle pelli e i sarti. In crescita, invece, le imprese di pulizia, le gelaterie, le pasticcerie e i servizi alla persona (parrucchieri, massaggiatori ed estetiste). Tra il 2009 e i primi nove mesi del 2014 l’artigianato ha perso oltre 91 mila imprese. Una su due era ubicata al Nord. Le regioni dove il saldo tra nati e mortalità è stato maggiore sono la Lombardia (-12.496), l’Emilia Romagna (-11.719), il Veneto (-10.944) e il Piemonte (-8.962).
Un quadro, quello fotografato dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ci descrive una situazione molto pesante, anche se non mancano alcuni segnali positivi.
Ma la forza dell’artigianato, secondo la Cgia, è ancora viva e capace di raggiungere il futuro oltre la crisi.

I settori artigiani che in questi ultimi anni di crisi hanno subito la contrazione numerica più pesante sono le costruzioni/installazione impianti (-42.444), le attività manifatturiere (-31.256), i carrozzieri e le autofficine (-15.973). Sono in espansione, invece, i servizi alla persona (parrucchieri, estetiste, massaggiatori, etc.), con un saldo pari a +1.405 attività, le gelaterie e le pasticcerie, con +5.579 imprese, e le attività di pulizia/giardinaggio, con +10.497 aziende artigiane.
Secondo i dati forniti tra il 2008 e il 2013 il costo dell’energia elettrica è aumentato ben oltre il 21%, quello del gasolio di quasi il 23,5%, mentre la Pubblica amministrazione ha allungato i tempi di pagamento ai propri fornitori di ben 35 giorni.
Gli artigiani, come del resto la quasi totalità delle piccole e micro imprese presenti in Italia, vivono dei consumi delle famiglie: dal 2008 al 2013 la contrazione di questi ultimi è stata fortissima: -6,6%.

Sul fronte del credito la situazione è altrettanto preoccupante: in questi sei anni di crisi economica gli affidamenti bancari alle imprese con meno di 20 addetti sono diminuiti del 10%. In termini assoluti alle micro imprese sono stati “tagliati” 17 miliardi di euro di impieghi.
Infine, le tasse e la burocrazia. Dopo la rivalutazione del Pil, nel 2013 la pressione fiscale in Italia si è stabilizzata al 43,3 per cento: picco massimo mai raggiunto in passato, anche se per le micro imprese il carico fiscale supera abbondantemente il 50%. Perfino il peso degli adempimenti burocratici ha assunto un livello non più sopportabile. Secondo i dati della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la burocrazia costa al mondo delle imprese italiane 31 miliardi di euro all’anno. Ciò implica che su ogni impresa grava mediamente un costo annuo pari a 7 mila euro. A differenza di quelle più grandi, le piccolissime imprese non possiedono una struttura amministrativa al proprio interno. Pertanto, sono costrette a rivolgersi a dei professionisti esterni, subendo dei costi annui ben superiori al dato medio nazionale.

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