Catania – Grande serata di giornalismo l’altra sera al Teatro Verga di Catania. Nino Milazzo ha intervistato Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera. L’evento era inserito nel ciclo “L’alfabeto della memoria”, realizzato dal Teatro Stabile di Catania, in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania. Il progetto prevede una sequenza di 21 incontri, tante quante le lettere dell’alfabeto italiano. Ogni lettera corrisponderà a un argomento di analisi e discussione pubblica. Dunque “G” come giornalismo.
Una gradevole, interessante, chiacchierata tra due gentiluomini, colti, preparati, eleganti e politicamente corretti. Tutto ciò che è stato detto era intelligente, pacato, preciso. Mai sopra o sotto le righe. Si è sorriso un po’ ma nulla di più. Pubblico attento, attentissimo, coinvolto. Milazzo ha fatto le domande che dovevano essere fatte e De Bortoli ha dato le risposte che dovevano essere date. È stato quando si rappresenta impeccabilmente un’opera di Verdi o una tragedia di Shakespeare: tutti sanno come va a finire ma vogliono vederlo fatto bene. Così è stato l’altra sera.
Il problema è che fra tanta gente, il teatro era pieno, non c’era nessun giovane. Proprio nessuno. Ad occhio c’erano solo over 50. Perché? È importante porsi l’interrogativo. Nessun giovane giornalista a seguire due maestri. Ma questo è comprensibile, perché il giornalismo di Milazzo e di De Bortoli non esiste più come non esiste più quello di Biagi, Bocca e Montanelli. Studenti? Forse all’Università si studiano cose diverse. Altri giovani? Chissà. L’unica cosa certa è che non c’erano i ventenni, i trentenni e neppure i “rampanti” quarantenni e questo è stato sicuramente un fatto grave. Forse era tutto troppo politicamente corretto, borghese e un tantino paternalistico. E si immaginava già che non ci sarebbe stato nessuno scoop. Oppure ai nostri giovani degli incontri culturali proprio non importa nulla. Meditate su questo non sarebbe un cosa sbagliata.