La Sicilia come Babele ovvero “Il Gabinetto del dr. Caligari”

Un'immagine dal film Il gabinetto del dottor Caligari

Un’immagine dal film Il gabinetto del dottor Caligari

Salviamo la Sicilia. Sembrava essere questo l’unico slogan delle forze politiche impegnate nell’ultima competizione elettorale. Ma tutti i buoni propositi sembrano, adesso, essere stati ingoiati da una tremenda confusione e da una terribile incapacità di fare realmente politica. Resta poco da dire allora, visto che le dichiarazioni, i programmi, le strategie, sono uguali da ambedue le parti e che, in fondo, cambia solo la qualità degli uomini. Adesso che i giochi sono fatti poco importa chi ha vinto: i problemi ci sono per tutti e vanno risolti nel più breve tempo possibile.
Tutto questo fa venire in mente uno dei migliori racconti di Jorge Luis Borges, la “Biblioteca di Babele”.
Il grande scrittore argentino immagina che in qualche parte di questo mondo o dell’universo, esiste un luogo dove sono custoditi tutti i libri che sono stati scritti e saranno scritti. Il lettore a questo punto immagina che tra i volumi custoditi in quei scaffali troverà la “Divina Commedia” o i “Promessi sposi” o “L’ Aleph” dello stesso Borges. No, non è così. Ogni libro contiene i caratteri di tutti gli alfabeti del mondo mescolati alla rinfusa e, dopo miliardi e miliardi di combinazioni, prima o poi è inevitabile che tutte le opere del mondo verranno ricomposte,
Immaginate quel povero visitatore che tra tutti quei volumi, dovesse trovare quello contenente “L’Ethica” di Spinosa nella lingua originale. Forse, dopo qualche secolo di ricerca, troverà l’edizione in lingua francese o in quella italiana.
Con questo esempio Borges probabilmente vuole dimostrare come chi detiene il potere possa occultare la verità pur, paradossalmente, offrendola nella maniera più ampia possibile. Per meglio comprendere questo concetto, se non riuscite a leggere “Il nome della rosa” di Umberto Eco, provate a rivedere l’omonimo film del regista francese Jean Jacques Annaud. Fissate l’attenzione sul vecchio e cieco bibliotecario, il venerabile Jorge, seguite attentamente la trama e capirete meglio. Una sola avvertenza: Borges era cieco come il suo omonimo bibliotecario, ma non era affatto cattivo, menagrano e oscurantista come Jorge di Eco.
Il punto è che, in entrambi i casi, un cieco è in un certo senso la guida del racconto. Come se, paradossalmente, vedesse la realtà meglio di chi possiede occhi funzionanti. La parabola di Borges è semplice: il mondo apparente è confuso, arzigogolato e ingarbugliato; quello della mente, con cui il cieco “vede” realmente, è chiaro e ordinato e lascia poco spazio ai pindarici voli della fantasia. Il paradosso borgesiano è una vera e propria provocazione, certamente non in difesa della categoria dei ciechi, ma che calza benissimo con la situazione della nostra Sicilia.
Per circa cinquant’anni, l’isola è stata governata da uomini “lungimiranti, che guardavano lontano”, per questo ogni nuova alchimia politica veniva sperimentata in Sicilia e, poi, se andava bene, veniva riproposta a livello nazionale. L’esperienza del centro-sinistra è senz’altro il caso più eclatante. E tutto questo ancora una volta sulle spalle dei siciliani. Si pensi al paradosso del commissario che viene commissariato.
Allora, forse sarebbe meglio che alla guida della nostra isola andasse, non un uomo dalle grandi vedute, lungimirante e dallo sguardo acuto, ma un cieco che, probabilmente, grazie al suo meraviglioso senso del tatto possa trovare nella “Biblioteca di Babele” di Sicilia quel libro di Spinosa, quell’Ethica, nella lingua originale e farne, finalmente, un uso appropriato. Resta solo un’ultima condizione… quella che costui somigli anche solo un pochino a Jorge Luis Borges.
«Un fiume separava due regni; gli agricoltori lo utilizzavano per irrigare i loro campi, ma un anno sopravvenne una siccità e l’acqua non bastò per tutti. Dapprima si picchiarono, poi i due re inviarono eserciti per proteggere i loro sudditi. La guerra era imminente; il Buddha s’incamminò alla volta della frontiera dov’erano accampati i due eserciti. “Ditemi”, disse, rivolgendosi ai due re: “Che cosa vale di più, l’acqua del fiume o il sangue dei vostri popoli?”.
“Non v’è dubbio”, risposero i re, “il sangue di questi uomini vale più dell’acqua del fiume”.
“Oh, re stolti”, disse il Buddha, “spargete la cosa più preziosa per ottenere ciò che vale molto meno! Se darete inizio alla battaglia, spargerete il sangue dei vostri uomini e non avrete aumentato di una sola goccia la portata del fiume”.
I re, vergognosi, decisero di accordarsi in modo pacifico e di dividersi l’acqua. Di lì a poco giunsero le piogge e ci fu acqua per tutti». Da “Cos’è il buddismo” di Jorge Luis Borges.

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