Sogno e poesia nel mondo di Totò e Vicè sul palco del Centro Zo con il capolavoro di Franco Scaldati

Enzo Vetrano e Stefano Randisi

Enzo Vetrano e Stefano Randisi

Totò!? Vicè! Totò!? Vicè! In sessanta minuti di spettacolo i due dolcissimi clochard si saranno chiamati almeno un milione di volte dopo essere entrati con passo malfermo, vestiti e cappotto lisi e due immancabili valigie al seguito. Sul palco oltre a Totò e Vicè (Enzo Vetrano e Stefano Randisi) una panchina e tutto intorno lumini disposti a cerchio in una scenografia essenziale e buia come le notti che avvolgono due senzatetto. E quell’ora è volata tra i sogni che si svelano nel sonno e quelli che si fanno da svegli in una girandola continua di domande che spesso rimanevano senza risposta… Totò!? Vicè! Totò… se non avessero inventato i muri come le avrebbero potute fare le finestre?

Sogno e poesia e ancora sogno e poesia in un’amicizia profonda e partecipe in cui il bisogno dell’uno per l’altro era tangibile quanto lo è la certezza della morte che loro sfatano con ironia e racconti incantati. Ed è così che i vestiti usati per vestire i morti diventano le ali degli angeli che saremo… se siamo stati buoni ovviamente. Gli altri, i cattivi, dovranno aspettare molto di più per diventare angeli.

Enzo Vetrano e Stefano Randisi

Enzo Vetrano e Stefano Randisi

Ed è ancora tra il sogno e la filosofia che Totò e Vicè si chiedono chi è che accompagna sulla Terra chi nasce e chi porta via chi muore. O se il cielo sia stato creato con l’alito degli uomini. E poi all’improvviso buttano lì sul tavolo una verità “Totò se apro gli occhi vedo una parte di mondo, ma se li chiudo vedo il mondo intero”. Disarma la tenerezza infinita che esplode dal testo su questi due clochard surreali nati dalla fantasia di Franco Scaldati – poeta, attore e drammaturgo palermitano purtroppo scomparso nel 2013 – che ha dato vita nel 1992 a uno spettacolo che toglie il fiato, un piccolo capolavoro oggi interpretato da due grandi maestri. Scritto in un dialetto palermitano barocco e roccioso, lo spettacolo è cresciuto a poco a poco: da un frammento, inserito in un omaggio a Leo de Berardinis, è diventato un pezzo di un altro lavoro, “Fantasmi”, per poi assumere vita autonoma.

Non si può negare, ci siamo commossi quasi tutti e se gli applausi sono una prova di ciò, di applausi ne sono scrosciati tanti dal pubblico che occupava le sedie del Centro Zo di Catania e del teatro Garibaldi di Enna in cui lo spettacolo è stato ospitato lo scorso fine settimana. Qualcuno non ha nascosto le lacrime e tanti altri non hanno resistito ad alzarsi per siglare il successo e la bravura di Totò e Vicè che alla fine, in una dissertazione davvero surreale sul sogno che diventa morte, avevano la certezza che loro la morte l’avrebbero vinta. In due. Insieme. A dispetto del fatto che mai Totò avrebbe potuto immaginare di svegliarsi morto.

Monica Adorno

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