Cannavò e Massimino: due grandi catanesi e un’inutile polemica

Candido Cannavò e Angelo Massimino

Candido Cannavò e Angelo Massimino

Candidò Cannavò ha la sua piazza a Catania. Cosa buona e giusta. In tempi, quelli attuali, in cui la nostra città a livello nazionale non riesce a esprimere molte grandi personalità nel campo della cultura, dell’arte e perfino del giornalismo, ricordare chi è stato veramente bravo, non è una cosa sbagliata. Non dimentichiamo che diresse per quasi venti anni il più importante e diffuso quotidiano sportivo nazionale. E tutti sappiamo che in Italia lo sport, il calcio in particolare, è una cosa molto seria.
Sono quindi pretestuose e strumentali le polemiche scoppiate sull’intitolazione dell’ex piazzale Oceania a Candido Cannavò. La critiche di questi giorni si basano sul solito tema di alcuni che si ergono a difesa dei colori del Calcio Catania, non si capisce a che titolo, e tirano fuori la vecchia storia che Angelo Massimino fu avversato nel 1993 con la conseguente cancellazione della squadra dal Campionato di Serie C1. E Cannavò sarebbe stato il suo grande avversario e quindi, di conseguenza, anche nemico della città. Erano gli anni in cui il calcio cambiava e Massimino, con tutti i suoi grandi meriti sportivi e umani, rappresentava un’epoca diversa. Cannavò fu coraggioso e schietto nel dirlo. Basti pensare alle gestioni manageriali che si stavano affermando in Italia e nel resto del mondo proprio in quegli anni. Erano ormai finiti i tempi di Massimino al Catania, Rozzi all’Ascoli, Scibilia all’Avellino, Casillo al Foggia. Non c’è dubbio che Massimino fu un presidente eccezionale, un uomo vulcanico, di grande forze e di grande capacità gestionale. Ma nel 1993 le cose stavano… anzi no, erano cambiate.
L’anno prima, solo per fare un esempio, la vecchia Coppa dei Campioni era diventata la Champions League. Sulla scena calcistica erano già da tempo apparsi presidenti/imprenditori di grande livello a partire da Silvio Berlusconi nel 1987. Nel 1993, l’Italia era la prima nel ranking europeo Fifa a testimoniare il grande livello raggiunto da nostro calcio.
Massimino aveva la scorza dura e a 60 anni non poteva essere cambiato da niente e da nessuno. Non era più adeguato, anzi non si voleva per niente adeguare a un mondo che era totalmente cambiato. Un mondo, quello suo, forse migliore, pieno di passione e con un tantino di romanticismo, quello di gente come lui e come Raimondo Lanza di Trabia, per intenderci.
Ma le cose adesso erano diverse. Nel 1993, Antonio Matarrese (all’epoca presidente della FIGC) respinse l’iscrizione di diverse società: Catania, Messina, Frosinone (secondo la tifoseria frusinate e l’ex patron del club ciociaro Alfredo Scaccia, la società fu ingiustamente radiata su decisione di Antonio Matarrese, reo di aver voluto il fallimento dei ciociari al fine di avvantaggiare il Bisceglie Calcio, squadra della città del suo bacino elettorale), Pesaro, Arezzo, Casale, Varese e Casertana.
Non ci fu nessuna persecuzione come non ci fu nel 2001, quando la Covisoc escluse dal Campionato di Serie C2 l’Atletico Catania, e come non ci fu neppure nel 2003 durante il terzo “caso Catania”.

Il fatto che Massimino si presentasse negli uffici della Lega con un mazzetto di assegni testimonia che egli concepisse la gestione del calcio come un fatto assolutamente padronale e artigianale. Al di là dei leggendari aneddoti, pare che per effettuare i pagamenti Massimino utilizzasse la carta dell’involucro dei sacchi di cemento dei suoi cantieri sulla quale vergava con la penna il nome del beneficiario e l’importo da pagare. E in banca il cassiere non batteva ciglio: pagava. C’erano regole diverse a quei tempi, anzi: non c’erano regole. Poi le regole arrivarono, Massimino non le comprese ma le dovette subire. Il mondo era cambiato, come nell’impresa anche nel calcio cominciava l’era delle carte, dei libri contabili, dei bilanci.

A distanza di anni nessuno vuole disconoscere i grandi meriti di Massimino e non è piacevole ricordare queste cose ma all’epoca, nella contemporaneità, le critiche non erano peregrine. Cannavò, agli occhi parziali di alcuni, apparve ancora una volta scomodo perché non lesinava la verità. Tirare fuori questa vecchia polemica è inutile, squallido e specioso.
Entrambi, Massimino e Cannavò, erano dei grandi catanesi. Ognuno ha un posto importante nella nostra memoria collettiva, non solo sportiva. Probabilmente in questo momento, dopo avere osservato con noncuranza e perplessità, solo per un attimo, queste inutili polemiche, avranno continuato a parlare di calcio, il grande amore della loro vita.
Giovanni Iozzia

Vuoi lasciare un commento?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *