Trivelle, referendum e le ragioni del Sì

I motivi a favore del referendum espressi da Anna Bonforte del Comitato Si Stop Trivelle Catania e del Coordinamento Nazionale No TRIV

Comitato No TrivIl Referendum popolare sulle trivelle del 17 Aprile è alle porte, ma di quanta produzione di petrolio/gas parliamo? Di quali strategie energetiche per il futuro discutiamo e, soprattutto, di quanti e quali strumenti democratici e di partecipazione alle scelte di salute, ambiente, lavoro e produzione ecosostenibile disponiamo?
Rispetto alle attuali concessioni si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le dodici miglia dalle coste italiane senza limiti di tempo e votando sì queste andranno progressivamente a cessare (… non dal giorno dopo come qualcuno sta dicendo agitando il fantasma della disoccupazione!), ma secondo la scadenza naturale fissata al momento del rilascio delle concessioni. Scadenze che originariamente erano trentennali con proroga a 10 anni e successivi rinnovi di 5 anni che consentivano un monitoraggio della concessione stessa, invece la legge di stabilità l.208/2015 ha spazzato via queste scadenze temporali concedendo lo sfruttamento “a vita” (cioè per la durata di vita utile del giacimento) non tutelando neanche la libera concorrenza tra imprese perché, sempre grazie alla legge di stabilità, dal 01/01/2016 è proibito il rilascio di nuove autorizzazioni per esplorazione e ricerca.

Ma anche questa affermazione è, però, inesatta: attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove piattaforme e perforati nuovi pozzi. La costruzione di nuove piattaforme e la perforazione di nuovi pozzi è, infatti, sempre possibile se il programma di sviluppo del giacimento (o la variazione successiva di tale programma) lo abbia previsto.
Il quesito verte solo sulle attuali 21 concessioni entro le 12 miglia marine (circa 22 km) di cui 5 sono già scadute, 9 scadranno tra il 2016 ed il 2019, mentre le restanti 7 saranno in scadenza tra 2024 e 2027, la produzione nel 2015 che si è tratta da quelle non scadute corrisponde a 1,21 miliardi di metri cubi di gas, circa il 17,6% della produzione nazionale (ma rappresenta solo il 2,1% dei consumi 2014) Fonte: DGRME-MISE.
Mettere una scadenza alle concessioni date a società private, che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, non è una fissazione delle associazioni ambientaliste o dei comitati, ma è una regola comunitaria. Non si comprende perché le aziende dell’oil&gas debbano godere di un privilegio che non è dato, giustamente, a nessun altro, e che si aggiunge a tanti altri, agevolazioni fiscali, sussidi indiretti o “royalties” molto vantaggiose (tanto che non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno), Legambiente ha quantificato questi vantaggi in circa 2,1 miliardi di sussidi diretti o indiretti all’anno all’intero comparto.

Perché votare Sì il 17 aprile. Innanzitutto a tutela del nostro prezioso ecosistema marino e costiero su cui le attività di ricerca, di estrazione e di trasporto hanno un impatto rilevante.
I nostri territori, da diversi anni a questa parte si stanno spendendo per sostenere uno sviluppo armonico non solo con le attività agricole e della pesca, in quanto spina dorsale del tessuto produttivo locale, ma anche con altri settori più direttamente connessi al turismo sostenibile, all’artigianato tradizionale, al piccolo commercio ed alla fruizione dei beni culturali ed ambientali, di cui l’isola è ricca, questo settore rappresenta il 10/15% del prodotto interno lordo a fronte di una produzione di petrolio che copre il fabbisogno energetico nazionale per meno dell’2,1%, continueremo dunque ad essere importatori di petrolio e gas qualunque sia l’esito del referendum, ma almeno non avremo messo a rischio tutti gli investimenti nell’agricoltura di eccellenza e nel turismo.

L’attività estrattiva è un’attività ad alto impatto ambientale, che implica notevoli problematiche relative allo smaltimento dei rifiuti e degli impatti sulla biodiversità. I fanghi (altamente tossici) devono essere infatti smaltiti con particolari procedure. Generalmente i controlli per le trivellazioni on shore costringono le imprese allo smaltimento. Per le trivellazioni off shore (…a mare), invece, la prassi ordinaria adottata dalle imprese è quella di disperderli direttamente nei fondali marini, come dimostra l’ultima inchiesta su “S” di Antonio Condorelli che racconta della iniezione a 2.800 metri delle acque di strato, di sentina e di lavaggio delle cisterne nel pozzo “sterile” e non a tenuta stagna ( V6) della piattaforma di Augusta “Vega B” di Edison con un risparmio, per lo smaltimento illegale, di quasi 70 milioni di euro sui costi ordinari.
Il nostro sarà un voto a favore delle energie rinnovabili e soprattutto di un sistema energetico che punti finalmente sul risparmio, sull’efficienza, sull’autoproduzione distribuita. Un sistema fatto oggi di 850mila impianti da fonti rinnovabili presenti nei comuni italiani, che da lavoro a 60mila persone con una ricaduta economica pari a 6 miliardi di euro e dal quale produciamo già oggi il 40% di energia elettrica pulita del nostro fabbisogno nazionale. Che si cerchi di mascherare le perdite pregresse di posti di lavoro nel comparto petrolifero, frutto della crisi del settore degli ultimi anni, affibbiandole all’esito del referendum che non dismetterà le concessioni esistenti, è solo frutto della disinformazione, come riguardo alla produzione oltre le dodici miglia, che non è toccata dal referendum, quando non si dice che già la Croazia, e ora anche la Francia, hanno avviato una moratoria sulle estrazioni nei mari internazionali (oltre le 12 miglia) in ottemperanza degli impegni presi a Parigi nella conferenza COP21 cui anche l’Italia ha, fintamente, firmato il protocollo.

Crediamo che questa occasione non vada sprecata e che l’esercizio democratico del voto, diritto e dovere di ogni cittadino, debba essere promossa aldilà di sterili polemiche, senza assistere al paradosso di vedere tacitati i sindaci per i quali vige il divieto svolgere attività di comunicazione” (l’art. 9, comma l, della legge 22 febbraio 2000, n. 28), mentre un pubblico ufficiale, come una viceministra, contravviene a ben due norme in vigore (l’articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali per la Camera; l’articolo 51 della legge che disciplina i referendum) che castigano l’astensione organizzata da chiunque sia «investito di un pubblico potere» con pene detentive (da 6 mesi a 3 anni).

Per la prima volta si vota con un referendum promosso da 9 regioni che avevano sollevato ben 6 quesiti referendari, poi ridotti ad uno perché assorbiti con la legge di stabilità, regioni a cui il governo continua a “scippare” la capacità di esprimersi nonostante si tratti di materia in cui vige legislazione complementare e dunque il parere delle regioni è necessario alla formazione delle autorizzazioni dei titoli abilitativi, per questo il 17 aprile ancora una volta c’è bisogno di un mare di democrazia, quella che uno strumento di partecipazione diretta ancora salvaguarda, se è vero che l’art. 1 della nostra costituzione, al suo secondo comma, recita: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Anna Bonforte Comitato Si Stop Trivelle Catania, Coord. Nazionale No TRIV

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