Il monologo tratto dal romanzo di Domenico Trischitta e diretto da Nicola Orofino ha conquistato il pubblico del Piscator e adesso merita la scena nazionale
Sono stati tre giorni di vero teatro, quelli che si sono consumati all’Erwin Piscator di Catania lo scorso week end. Glam City, tratto dal romanzo di Domenico Trischitta, diretto da Nicola Alberto Orofino e interpretato da Silvio Laviano è passato ed ha lasciato il segno, il segno di un’opera di impatto e allo stesso tempo di grande riflessione. Un monologo che racconta la vita di Gerry Garozzo nella Catania degli anni Settanta, la Milano del sud, ancora piena di possibilità e carica di promesse. Ma Glam City narra anche il fallimento di quelle promesse e la caduta di Gerry, parallele: la rivoluzione mancata di un ragazzo diverso da una parte e dall’altra quella di una Catania, carnale, viva e colorata che potrebbe essere diversa ma è troppo chiusa e interrata per riuscirci. La vita di Gerry si intreccia con i vicoli e le strade di una Catania che chiede sempre il conto di quello che concede, le scelte di Gerry dipendono anche dall’amore e dall’odio verso una città madre che accoglie ma anche rifiuta la sua diversità fino a spingerlo ad andare via. Ma da Milano si ritorna, e Gerry torna per morire nel letto di casa a spegnersi con il bagaglio pieno dei sogni e delle promesse non mantenute. Tra i rimpianti, tra i molti fantasmi, anche quello del suo alter ego, Marc Bolan, padre del glam rock inglese, Gerry è intriso fino alla fine di voglia di vivere e di essere, un desiderio che nemmeno la malattia può diminuire.
Gerry Garozzo è una ragazzo diverso della Catania anni 80 che sogna di fare il trasformista, nella sua glam city, assieme ad atri variopinti amici, tenterà una rivoluzione di costume, fatta di travestitismo e trasgressione. Da Catania a Milano, andata e ritorno, da promessa della canzone a travestito dei viali milanesi. Una storia che racconta la Catania degli anni ’80 e ’90 con gli occhi di Gerry. Silvio Laviano si mette le scarpe di un amico scomodo e jarruso che oggi – solo oggi – chiameremo trans, aggiungendo l’ennesima superflua etichetta che costringe e non dice nulla della persona. Il glamour che Silvio ci riporta è l’eco del brit-rock-pop dei ’70 e nelle icone gay che Gerry copiava nei suoi spettacoli. Laviano riesce ad essere un camaleonte sul palco. Una scenografia spoglia impone di concentrarsi, che nulla sfugga: i teli cerati neri a riprodurre la lava ma anche il buio della città di Catania, dei tacchi rosa che spezzano il colore e Silvio Laviano che solo, interpreta sì Gerry Garozzo ma anche tutta la realtà e i personaggi e la vita che gli girano intorno.
Un’ora e mezza e una colata lavica di personaggi vivi e veri tutti letti e vissuti nel corpo di Silvio, nelle sue posture e in pochissimi oggetti scenici.
Un’ora e mezza di one man show da una parte e di una valanga di personaggi vivi e veri dall’altra. E Laviano li interpreta tutti: trasformista lui, vivo e carnale, recita con ogni parte del suo corpo; gli basta cambiare profilo o indossare degli occhiali per essere uno e centomila l’attimo dopo. Un’interpretazione straordinaria. Una fisicità dirompente. Un monologo teatrale tutto made in Catania, un monologo, sì. Sul palco un attore solo. Però di emozioni su quel palco, di sentimenti passioni voci personaggi echi anime, ce ne stavano così tanti che quando l’abbiamo applaudito, quasi non sembrava vero che avesse interpretato tutto un solo attore. Adesso rimane un desiderio, che lo spettacolo vada fuori da Catania e questa arte, questa città, questa lava e questo mare contagino altri lidi. Perché è solo attraverso il lavoro dei catanesi che quelle promesse disfatte la nostra città può ancora mantenerle.
Giovanna Russo