Proposte di semplificazione, l’unica strada per far ripartire l’economia italiana

Ridurre aliquote e adempimenti fiscali e un taglio netto alla burocrazia sono le uniche proposte che bisognerebbe prendere in considerazione

semplificazioneLa vicenda CORONAVIRUS, con le sue inevitabili conseguenze anche economiche, ha amplificato e anticipato una serie di nodi che sarebbero comunque venuti al pettine, forse non tutti insieme e forse non in un così breve tempo.
Il nodo dei nodi sta nel fatto che l’Italia, piaccia o non piaccia, è diventato un un unico e gigantesco UCASE (ufficio complicazione affari semplici).
Ne consegue che la “madre di tutte le esigenze” è la SEMPLIFICAZIONE.
Tale esigenza non deve però essere vista come contingente, legata al particolare momento, ma permanente.
Ricordo che mio padre, Direttore dell’ufficio del Registro di Catania, per farmi capire, già 50 anni fa, che stavamo imboccando un percorso di burocrazia soffocante, mi mostrò un foglio scritto in olandese; era l’atto di compravendita di una nave, e contemporaneamente una ventina di fogli che consentivano il passaggio di proprietà di un’auto in Italia.
La semplificazione ha come prerequisito la sburocratizzazione, che, se attuata, farebbe emergere la follia di un apparato elefantiaco di pubblici dipendenti non solo incompatibile con l’esigenza di contenimento della spesa pubblica corrente, ma professionalmente inadeguato e necessariamente autoreferenziale, che si avvolge su se stesso, per produrre come una sorta di certificato di “esistenza in vita”, in mancanza del quale non si giustificherebbe lo stipendio mensile elargito a tali soggetti che dello Smart working hanno fatto la loro ragione di vita, da sempre.
Venendo all’oggi, senza perdere di vista la necessità di sovvertire il sistema in termini di efficienza, produttività e meritocrazia, anche eliminando, per esempio, gli avanzamenti automatici per anzianità, (todos caballeros), occorre che imprese e cittadini possano avere, nei limiti delle reali disponibilità, senza scomodare potenze di fuoco inimmaginabili, e perciò fasulle in radice, ciò che serve in termini immediati e senza procedure concessorie o autorizzative.

Parlo delle imprese perché sono quelle che conosco meglio per averci lavorato a fianco per 42 anni.
Alcune cose sono avvertite come funzionali a un corretto svolgimento dell’attività d’impresa da tutti gli imprenditori, a prescindere da dimensioni, settore di appartenenza e ubicazione sul territorio.
E queste cose son: Denaro. Diminuzione del costo del lavoro e Riduzione, non solo della pressione fiscale, ma anche del numero degli adempimenti.
Iniziamo dal denaro. È profondamente sbagliato, oltre che fuorviante, demonizzare le banche per Le oggettive difficoltà di accesso al credito.
Le banche comprano e vendono denaro, e se non lo possono vendere bene ne compreranno sempre meno e quel poco che compreranno lo pagheranno sempre peggio. Perché avviene ciò?
Semplicemente perché, mentre si cita “il mercato” per spiegare ogni negatività e vessazione che ci complica la vita, proprio le banche sono state private della possibilità di muoversi liberamente nel mercato e sono state ingabbiate in un susseguirsi di regole capestro, quali Basilea 1, 2 e 3 ed i plafond da “razionamento del pane” imposti da Bankitalia.
Ne consegue che il rapporto fisiologico banche/imprese risulta alterato a danno di entrambi, e le ultime regolamentazioni dei Confidi complicano ulteriormente il quadro.
Le imprese hanno bisogno delle banche, e viceversa, per restituire ossigeno a un mercato ormai asfittico.

Si dovrebbe provare, tornado alle leggi regionali dei primi anni 70 (la 27/72 e la 22/74), a ripristinare i vecchi fondi di rotazione, magari assistiti da interventi smart di fissazione di un tetto al costo del denaro e di automatica apposizione di garanzia pubblica, per importi non eccedenti il 5% della media dei volumi d’affari degli ultimi tre anni.
Il tutto mediante autocertificazione da parte del richiedente ed estrapolazione dal plafond Bankitalia per la banca operante.
Negli anni bui della grande crisi economica e petrolifera funzionò e l’Italia riuscì a liberarsi dalle spire di una stagflation che la stava soffocando.
La diminuzione del costo del lavoro, messa al bando dalla UE perché incidente sui meccanismi della concorrenza per via dei meccanismi configurabili come aiuti di Stato, è un obiettivo primario in mancanza del quale verremo sepolti dalla disoccupazione, specie giovanile e over 50.

Quando l’Europa ci impose di porre fine si benefici dei contratti di formazione e lavoro, se invece di subire passivamente avessimo calcolato l’incidenza di tali sgravi, diretti ed indiretti, e li avessimo trasformati in abbassamento delle aliquote, com’è in Olanda e Germania, non avremmo subito contraccolpi. E questo oggi occorre fare.
Aliquote ed adempimenti fiscali: troppo alte le prime; troppi i secondi. Se il termine “flat tax” è urticante, troviamone un altro, ma la sostanza non cambia.
L’Italia non può continuare ad essere il Paradiso dei ragionieri. Non bisogna aver paura di copiare.
Utilizziamo il modello americano, carcere VERO compreso per gli evasori, e le imprese ricominceranno a correre e i cittadini a sperare.
Alfio Franco Vinci

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