Decreto salva casa, un provvedimento di sinistra, proposto dalla destra

Le reazioni, come sempre scomposte e decisamente troppo sopra le righe, delle sinistre, PD in testa, al progetto proposto da Salvini per salvare le case degli italiani dalla stratificazione di norme, tutte partorite da Governi di centro sinistra, che le hanno rese invendibili o ultra deprezzate, hanno un’unica matrice motivazionale: l’invidia, ancora ferma alla “lotta di classe”. L’invidia di non averci pensato loro a proteggere i piccoli patrimoni degli italiani, degli operai, degli impiegati, del ceto medio che, con trenta anni di sacrifici – del resto, in media, tanto dura un mutuo – sono riusciti a mettersi sotto un tetto di proprietà, garanzia per una vecchiaia serena.

L’invidia, perché questo è uno di quei provvedimenti, che, se approvato farà campare, di reddito di riconoscenza, la parte politica che lo ha proposto.

L’invidia, perché al di là di tutti i funambolismi ideologici da Peppone e Don Camillo, gli italiani, in larghissima maggioranza sono riusciti a farcela, magari con qualche aggiustatina all’interno, per migliorare la vivibilità della casa, e non certo per bieca speculazione edilizia.

Ma, al di là delle riflessioni, valgono i numeri, che certamente non mentono.

I proprietari di immobili, in Italia, sono 42,7 milioni di persone, pari al 73,7% delle famiglie (fonte Eurostat).

Di questi solo il 28% ha più di un immobile, cioè il 20% del totale, cioè l’8,5% della popolazione. Di tutto il patrimonio immobiliare l’88% appartiene a persone fisiche, e solo poco più dell’11% a Società. In Italia solo il 20,5% è in affitto e di esso la maggior parte (47,8%) è composto da famiglie di recente costituzione in attesa di poter realizzare il proprio progetto del “tetto di proprietà”.

E allora!?

Per una volta pensiamo al bene comune, anziché a perpetuare divisioni artificiose, che servono solo ad alimentare odio e rivolte, invece che armonia e tranquillità che, sole, ci consentirebbero di migliorare ulteriormente i risultati del nostro Paese.

Ma forse è proprio questo, come dicono a Roma, che “glie rode”.

Alfio Franco Vinci

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